FINESTRE SULL’ARTE #1 – In questi giorni in cui gli spostamenti sono stati fortemente limitati e le riunioni contingentate, abbiamo avuto modo di apprezzare diverse volte o sugli schermi televisivi o sulle pagine dei giornali un oggetto molto particolare. È la Resurrezione di Cristo di Pietro Perugino, collocata nella Biblioteca privata del Papa presso il Palazzo Apostolico Vaticano.
Infatti alle spalle del pontefice, si può intravedere l’opera del pittore, un olio su tavola datato 1499-1500; un quadro sempre presente nei discorsi ufficiali del Papa e, proprio per questo, di rado visitabile dal grande pubblico. Ma che la televisione ha reso possibile “scoprire” durante l’emergenza sanitaria.
Il dipinto è diviso in due registri. In quello superiore troviamo Cristo vincitore, racchiuso all’interno di una mandorla con i piedi che poggiano su una piccola e soffice nuvola, adorato da due angeli. La figura del Redentore ha la tipica armonia e dolcezza dei lavori della maturità dell’artista: la rappresentazione del petto è anatomicamente dettagliata e il lungo panno rosso che avvolge la schiena e le gambe è reso pittoricamente con un colore chiaro, dolce e luminoso. Il chiaroscuro con cui vengono sbalzate le pieghe del tessuto è inoltre un ottimo stratagemma per consegnare alla figura maggiore plasticità e concretezza.
Affianco a queste caratteristiche che rendono moderno e cinquecentesco il linguaggio di Perugino, troviamo il fondo oro della mandorla e i due angeli oranti che costituiscono una reminiscenza della cultura pittorica umbra del primo Quattrocento. Le due creature angeliche ai lati sono delle presenze abituali nelle pale d’altare eseguite dal maestro in questi anni: pensiamo alla Madonna della Consolazione, dipinta per la Confraternita dei Disciplinati di Perugia, o alla Madonna in gloria e santi, eseguita per la cappella Scarani della chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna.
Nel registro inferiore, un paesaggio ampio e digradante fa da sfondo al sepolcro vuoto, con la lastra da cui era sigillato spostata ed egregiamente scorciata in prospettiva, ed ai quattro soldati posti a sua sorveglianza, tre addormentati ed uno stupito e quasi intimorito dal prodigio al quale sta assistendo. In questa fascia scopriamo un’altra caratteristica dello stile di Pietro di Cristoforo Vannucci: l’erudita citazione di monumenti dell’antichità romana. Questo aspetto lo rende il maestro quasi indiscusso del Protoclassicismo, corrente artistica sviluppatasi tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento nell’Italia centrale e diffusasi successivamente in tutto lo stivale. La superficie marmorea liscia e bianchissima ed il tondo in porfido rosso del sarcofago sembrano infatti una perfetta riproduzione di una sepoltura antica, di una sepoltura imperiale antica.
La pala fu commissionata da Bernardino di Giovanni da Orvieto per la cappella gentilizia nella Chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, vero tempio dell’arte cinquecentesca (in essa si trovava la famosa pala Baglioni di Raffaello, la cui tavola principale, Deposizione, fu fatta “rapire” da Paolo V nel 1608 e donata al cardinale Scipione Borghese, nipote del pontefice). Vi rimase fino al 1797, anno in cui entrò a far parte degli oggetti che Napoleone fece trasferire dall’Italia a Parigi. Nel 1815 abbandonò la capitale francese per fare ingresso nelle collezioni pontificie e dal 1964 si trova nella Biblioteca Privata dell’appartamento papale.
di Sebastiano Fortugno