Ripercorriamo insieme i tre giorni nei quali il Vescovo Antonio Napolioni ha visitato alcune realtà delle nostre comunità parrocchiali e della città casalasca.
Con il Vangelo della Trasfigurazione si è conclusa la Visita Pastorale del Vescovo Antonio a Casalmaggiore. Due Sante Messe hanno dato lo spazio alla sensibilità del pastore diocesano di poter esprimere un sentito e a tratti commosso ringraziamento per l’ospitalità, la ricchezza degli incontri e per gli stimoli offerti dalla comunità casalasca per redigere una proposta di percorso comune nella luce del Signore; per vivere insieme e con uno sguardo al futuro l’esperienza di Gesù nella quotidianità delle parrocchie. Non sono mancate dunque le parole in quest’ultima giornata in città di Monsignor Antonio.
Santa Messa a San Leonardo
L’ultimo giorno di visita si apre con la S. Messa a San Leonardo; con un linguaggio semplice ed esempi di vita quotidiana, il Vescovo ha voluto dare un messaggio di speranza in questi tempi difficili; una riflessione profonda sul senso della Trasfigurazione e della Pasqua.
«Quel giorno Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Di questa frase noi ne abbiamo fatto una specie di slogan della morte: quando uno muore “Dio ha preso con sé; ha chiamato a sé”. Eh no! Vale anche quando si vive! Se Gesù ci prende con sé ci fa un regalo immenso! Come quando mi ha detto nel profondo del cuore “Vieni con me, fai il prete, vedrai che bello. Faticherai – come ho faticato io, come faticano tutti! – ma saprai con chi e perché spendi la tua vita”. E ho cominciato a camminare alla presenza del Signore. E il Signore cosa fa mentre sta con noi? Ci dice la verità e ci scalda il cuore. La verità: c’è la croce, c’è la Pasqua che è morte di Gesù e sacrificio d’amore per gli altri; per le nonne e le mamme è svegliarsi ogni mattina prima dei bambini, mettere in ordine la casa, non poter dire “oggi non ne ho voglia”. C’è la fatica, il dolore, la pandemia; ci sono le guerre, c’è la realtà. Ma ci scalda il cuore: “Io sono con voi”. Questa morte non è maledizione ma benedizione perché dalla mia morte viene la vostra vita! […]
E allora chi ce lo fa fare di essere uniti e solidali? Questa è una predica che i vostri preti penso vi facciano spesso. Questo è un bisogno della nostra società, questa è una malattia che va curata anche nella Chiesa: l’individualismo, la divisione, la faziosità. Il nostro non è un campionato, la nostra è una famiglia nella quale vince chi ama di più, chi ha più pazienza, chi fa spazio all’altro, chi rinuncia ad imporre le proprie idee, chi perdona. È questo il metodo di Gesù che cammina con noi e ci porta nella terra dei viventi. Ma noi, poi, abbiamo davvero capito cosa significa “risorgere delle morti”? No! Ecco perché, di domenica in domenica, facciamo un’altra Pasqua: per gustare sempre di più questa certezza che cambia tutto. La terra dei viventi sulla terra, la terra dei viventi nel cielo, il cammino dei viventi dietro Gesù è una continua esperienza di morte e resurrezione: muore un pizzico di eroismo e risorge l’amore; muore il mondo perché si ammala e il Signore dentro i piccoli crea un mondo nuovo. Sembra che stia finendo un mondo; io vi dico: ne sta iniziando uno migliore. Tocca a noi crederci, sperarci e metterci tutte le nostre energie».
Incontro con l’Amministrazione Comunale di Casalmaggiore
Prima di avviarsi verso il Duomo per la Santa Messa conclusiva, Monsignor Antonio si è fermato nell’Auditorio Santa Croce per incontrare l’Amministrazione Comunale e alcuni rappresentati della società civile della città. Accolto dal sindaco Filippo Bongiovanni, il Vescovo ha voluto condividere alcune considerazioni sul ruolo della cittadina casalasca sul territorio, tra storia e presente, e alcune suggestioni per la creazione di vera «casa comune».
«La Visita Pastorale si può fare in tanti modi. Quando abbiamo deciso di impostarla ho detto subito che non serviva né la parata per far contento il Vescovo, né l’esame con la pagella alle parrocchie né l’evento da scrivere negli annali, ma serviva un metodo di accompagnamento del cammino delle comunità in un tempo di enormi trasformazioni. Un tempo di trasformazioni che a volte non sappiamo decifrare e per cui è necessaria una sosta. Sono stati giorni in cui in realtà non ci siamo mai fermati fisicamente, ma il contenuto di un incontro è stata una sosta: un guardarsi, percepire, accogliere sentimenti e guardare da credenti all’orizzonte della fede. Essa non fa mai la freno ma fa da volano alla capacità di affrontare le difficoltà. Quindi non considero eccezionale la via venuta qui, anche se ne avevo proprio bisogno perché i vostri volti mi erano familiari dalle pagine della Provincia, ma non basta; non è il miglior osservatorio in assoluto per cogliere la vita reale una città e di tutte le sue componenti […].
Ero proprio curioso di sentire un po’ di profumo di casalasco, rispetto al quale ancora devo capire se esistono dei confini. Ma in genere i confini in pianura sono labili; il Po sicuramente lo è perché voi lo valicate e vi sentite più vicino a Parma per certi aspetti invece di Cremona… Tanti sono i vostri giovani che studiano Parma, vanno a far la movida e quant’altro. Quindi il tema dei confini è un tema sempre più anacronistico: non perché non abbiamo delle identità, ma perché esse entrino in contatto e in dialogo oppure sono come delle lapidi del cimitero. Ci mettiamo i morti sotto le identità rigide, chiuse, sospettose, arrabbiate, impaurite. Non servono a nessuno, servono solo a fare le guerre. […]
Casalmaggiore nella storia si è affermata; a me sembra che sia appunto una “piccola capitale”. Mi piace pensare che questa “piccola capitale” ha un Duomo. Averlo significa avere una casa, perché “duomo” significa domus; è davvero la casa di tutti, la casa comune. Io vengo da una cittadina per certi versi simile – da Camerino, nelle Marche, tristemente note per i terremoti ma sede di Arcivescovado, sede di Università, un Ducato di particolare rilievo nel Rinascimento, un feudo longobardo… quindi le sue carte nella storia le ha avute. Ma come tutte le piccole capitali del passato può ammalarsi di archeologismo, nostalgia, di passatismo. Allora la mia prima domanda è: di cosa e come può essere “piccola capitale” Casalmaggiore un domani? La ricchezza di esperienze che avete ereditato e custodite, che futuro avranno nell’incontro con la riforma di volontariato e di servizio? Ieri (nei vari incontri con le realtà della comunità, ndr) appunto emergevano due ritornelli: uno era “occorre un cambio di mentalità”; l’altro “occorre la capacità di coinvolgere i giovani in questi impegni”. Teniamo insieme questi due segnali: dobbiamo lavorarci. Noi come cristiani dobbiamo chiederci se attingiamo davvero alla sorgente che cambia la mentalità, oppure se pretendiamo in base alle nostre ideologie, ai nostri pregiudizi, alle nostre consuetudini di avere la vitalità di una sorgente – è come tenere qualche bottiglione di acqua stantia in cantina e attaccarci a quella invece di scavare un pozzo e scoprire dove c’è la vena che scorre. Io credo che la prima domanda per dare un futuro alla società e alla chiesa di Casalmaggiore sia: “dov’è che scorre e dov’è che si inceppa la vita?” Noi dobbiamo servire la vita che scorre e favorirla: creando argini, pulizia nel profondo del letto del fiume, depuratori ove fossero necessari affinché la vita buona sia percepita, innamori, motivi e generi altra vita buona. E ce n’è tanta. Come sempre, fa più rumore l’albero che cade della foresta che cresce. […]
Io non mi stanco di emozionarmi nel cogliere la bellezza di quella famiglia, la domanda bella di quel bambino, il candore fragile di quel giovane, la testimonianza di quel malato. Quindi guardando e ascoltando le storie di vita delle persone, da esploratori delle meraviglie che Dio compie nelle persone, io credo che capovolgeremo lentamente – ma spero anche non troppo lentamente – la prospettiva non dall’inizio verso la fine ma da una fine verso l’inizio».
Santa Messa conclusiva della Visita Pastorale al Duomo di Santo Stefano
A conclusione dei tre giorni casalaschi, il Vescovo ha celebrato la Santa Messa al Duomo di Santo Stefano, gremito per l’occasione, assieme al parroco di Casalmaggiore don Claudio Rubagotti, a don Angelo Bravi, don Cesare Castelli, don Arrigo Duranti e al Padre superiore del Santuario della Fontana Francesco Serra. Con un’omelia solenne ma alla portata di tutti, Monsignor Antonio ha voluto paragonare il Duomo di Casalmaggiore al monte Tabor nel Vangelo della Trasfigurazione, invitando dunque a ritrovarsi tutti come Figli di Dio e ritrovarsi insieme a cogliere il senso della fede cristiana e della nostra vita. Con un augurio dal sapore di “sfida”: ritornare tra un anno per vedere se la comunità di Casalmaggiore ha fatto proprie le riflessioni, le domande e le urgenze e si è incamminata verso la luce di Cristo. Il Vescovo, alla fine della liturgia, è stato poi omaggiato con una croce pettorale, realizzata ispirandosi ai bijou del Museo di Casalmaggiore, descritta e presentata a nome delle parrocchie dalla curatrice Letizia Frigerio.
«Il Duomo di Casalmaggiore, per chi viene da lontano, si vede subito. Ed è un po’ come il Monte su questa pianura. E quando il Monte è pieno di figli di Dio che si rivestono di vesti bianche – quelle dei chierichetti ma soprattutto quelle del battesimo che rivestono la nostra anima -, e i nostri occhi brillano di attenzione, di attesa non tanto per cosa ci dirà il vescovo ma per cosa sta accadendo alla nostra vita, allora si percepisce che il tempio si riempie di Dio. Si manifesta la luce di Cristo risorto perché davvero egli è qui con noi.
Perché Gesù, quel giorno sul monte, si manifestò in quella luce bianchissima? Per rivelare ai discepoli il senso della vita quando essa si fa dura. Gesù sa che mancano pochi giorni alla sua passione, croce, morte. Una resurrezione, dunque, a caro prezzo; non il lieto fine di un cartone animato, perché tutti sapessero che razza di Dio abbiamo! Non il Dio dei nostri pensieri, quello che deve sistemare tutte le cose, quello che deve castigare chi diciamo noi, quello che deve fare miracoli se noi facciamo una preghiera; un Dio tappabuchi, un Dio padrone, un Dio lontano… Dio rivela qualcosa di impensabile: dona suo Figlio a noi peccatori. E il dono di questo figlio si sostituisce ad ogni sacrificio che si possa chiedere agli uomini: “Abramo! Prendi tuo figlio Isacco!”. No, non è quello il volto di Dio. Dio dona sé stesso, il suo amore al Figlio non viene mortificato e ucciso con la croce di Gesù, ma viene moltiplicato! Per cui ad ogni vicenda umana dura e difficile, ad ogni famiglia provata, ad ogni tradimento ad ogni violenza c’è questa grande risposta: “Io sono con voi, io soffro con voi ma voi risorgerete con me se avviene questo scambio d’amore”. […]
Il mondo oggi non è più un mondo tutto cristiano. Non è più un mondo molto umano, forse non lo è mai stato; ma nello stesso tempo dentro questo mondo ci sono dei fermenti di desiderio e di rinnovamento. Ci sono i bambini, ragazzi, giovani che vengono sempre al mondo con il desiderio della felicità, di esprimersi, di essere i protagonisti del futuro. E noi adulti, come raccontiamo loro il senso della vita? Come consegniamo loro la speranza? Introducendoli in una comunità divisa e lamentosa? Io voglio tornare oggi a Cremona credendo che a Casalmaggiore questo non accada. È una tentazione che c’è sempre nel nostro cuore. Siamo qui per lasciarci rigenerare da ciò che è decisivo. Dio, che non ha risparmiato il suo Figlio, è sempre per noi e ci rende liberi dai nostri pregiudizi, dalle nostre misure corte, dalle nostre fissazioni, fiduciosi e aperti al nuovo che lui prepara. E se fosse anche la pandemia una delle doglie del parto dell’uomo nuovo, credetemi: andiamo fino in fondo, ascoltiamo il Signore, assecondiamo lo Spirito e nascerà quel mondo nuovo del quale a volte non crediamo più».
di Redazione
Crediti fotografici:
Federica Bini
Giacomo Rastelli – La Provincia/ Fotolive
Jacopo Orlo