Nelle parrocchie di Casalmaggiore è stato celebrato un Natale ricco di stimoli e incoraggiamenti da parte dei sacerdoti. In particolare, con il ritorno della Messa di mezzanotte, si è tornato a respirare quel sentimento liturgico di mistero e fiducia, assente l’anno precedente per la pandemia. Le incitazioni dell’abate parroco a «ribadire la propria storia» durante la Veglia notturna, l’invito di don Arrigo «ad ascoltare gli angeli» nella messa di Natale e la testimonianza di Santo Stefano: ecco il racconto del Natale 2021 nelle parole e nelle immagini delle liturgie celebrate.
«Mi piacerebbe che ognuno stasera, in questo Natale, si domandasse: “Quale posto darò al Signore?” » Domande impellenti ed esortazioni vibranti sono scaturite dall’omelia dell’abate parroco don Claudio Rubagotti, durante la Messa della Notte, la Veglia di Natale, nel Duomo di Santo Stefano. Con la sua solita voce potente, il sacerdote ha offerto diversi spunti per i fedeli notturni, ritrovatesi nel tradizionale appuntamento liturgico della mezzanotte, l’anno scorso non avvenuto a causa del coprifuoco in vigore durante la pandemia.
«È bello ritrovarsi qui nella notte e celebrare insieme questo grande dono della nascita del Signore. Un sorriso stasera fa bene, perché oggi è Natale e il dono più bello che possiamo farci è quello dell’allegria» ha esordito don Claudio all’inizio dell’omelia, dopo aver portato la statua del Bambino ai piedi dell’altare nella processione di avvio della liturgia. «Ma questa festa non è una barzelletta, o il far finta che le cose siano così. Non nascondo un certo mio disagio, in questi ultimi decenni, tra un “È nato un Salvatore” e il riempirsi con cose che non c’entrano nulla come Babbo Natale, Mamma Natale, villaggi natalizi. Gesù non è una barzelletta, è reale».
Cogliendo alcuni elementi del Vangelo previsto per la messa della notte di Natale, il sacerdote allora ha posto l’interrogativo chiave della sua riflessione: «Che posto ha il Signore per me?». Citando l’imperatore e i funzionari statali che governavano un tempo quei luoghi, il Vangelo riporta dunque un fatto storico: «Gesù nasce nella Storia, e io sono nella storia. Questa è la mia e la vostra storia. Ripeto: è la mia e la vostra storia. Stiamo attenti, come già accaduto in passato, quando abbiamo a sostituire il Salvatore con altri salvatori. Sono uomo in questo tempo e vivo in questa realtà, Gesù entra in una storia così come lo sono anche io; e nessuno prenderà questo posto decisivo come il vostro e il mio» ha detto don Claudio con ripetuta veemenza.
Si percepisce una necessaria urgenza di far capire, accogliere, un certo tipo di messaggio da parte del parroco. «Questa nascita – “È nato per noi un Salvatore” – ha posto in noi qualcosa o è l’ennesima battuta da dimenticarsi dopo poco tempo? Cosa significa “C’è posto nella mia vita per Lui?” Se Gesù nasce nella mia storia, allora la mia vita non è semplicemente ciò che mi accade, ma Lui ha qualcosa di nuovo da dire alla mia esistenza. «Questa cosa l’ho detta diverse volte – ha sottolineato don Claudio -, ma la ritengo utile per ognuno di noi. La cosa importante e difficile da capire è che la nostra vita non può esaurirsi nella nostra esperienza personale. Un bambino che nasce chiede attenzione, perché nascendo e crescendo noi scopriamo tante cose. Io ci sto a fargli posto affinché la mia esperienza non diventi univoca, ma egli possa fare esperienza con me. Può quel Bambino chiedere “Posso avere posto vicino a te?” e dire qualcosa alla tua vita, al tuo dolore, alla tua disperazione, al tuo successo, alla tua felicità?»
Non sono mancati poi riferimenti alla stringente attualità e ai segni del Natale, con una nota polemica ma incalzante. «Se noi andiamo in piazza Garibaldi a Casalmaggiore trovate ogni cosa tranne il presepe e Gesù! Ci sarà spazio sul listone anche per lui! C’è posto anche per lui, qualcosa di trascendentale, nella nostra piazza e nella nostra comunità? E i nostri bambini, ormai sgamati, ci chiederanno: “Cosa ci state raccontando?”». L’anno prossimo facciamo posto in piazza anche per questo Bambino, perché possa esserci e vedere anche lui la nostra quotidianità. Non possiamo però fare questo ragionamento all’esterno, se prima non lo abbiamo fatto dentro di noi».
Una conversione del cuore, precisa don Claudio, che può cominciare se guardiamo al “non-segno” con il quale Dio si è manifestato alla nostra vita. «E poi abbiamo questo “segno” del Bambino avvolto in fasce; di bambini ce n’erano tanti all’epoca, quasi a darlo per scontato. Eppure Dio sceglie il “non segno” per essere il vero segno. Come a voler dire: tu mi cerchi nelle cose più difficili e spettacolari, quando invece ti dò questo segno: sei tu. Io nasco bambino in questa notte, perché tu abbia a tornare piccolo e possa avere lunghi giorni a venire per imparare a vivere da me. Nasco Bambino perché tu non abbia a disprezzare te stesso, la tua umanità, la tua storia».
«Attacchiamo allora questa cultura che dà importanza a tutto fuorché alla carne dell’uomo e all’essere madre – ha tuonato il sacerdote alla conclusione della sua omelia notturna -. Non permettiamo di diventare persone sostituibili, delle realtà artificiali, perché il fatto di Dio fatto carne è ribadire l’importanza della propria storia. In questa carne sono unico e chiamato a cambiarla professando ciò in cui credo, in cui penso, in ciò che amo la passione di questo santo Natale».
Alla Santa Messa del Giorno, invece, il vicario don Arrigo Duranti si è concentrato sulle figure degli angeli, «messaggeri d’incoraggiamento» in grado di «suggerirci un motivo per non rassegnarsi, per continuare a spiegare, di impegnare la nostra esistenza». Partendo dalle figure della Sacra Famiglia e dei pastori, il giovane sacerdote ha riflettuto sul senso del Natale dalla prospettiva delle parole usate da queste figure: «Ci invitano a restare dentro alle vicende della vita e della storia, alle situazioni che non abbiamo scelto ma tante volte addossati, che da soli siamo certi non siamo capaci di risolvere. “Non temere”, allora, è l’invito a non scappare, a non incattivirsi nella lamentela e nella rivendicazione, a non subìre la vita del vittimismo».
Questi annunciatori della notte sono allora una presenza importante di questa festa, secondo il vicario: «Gli angeli sono le voci del Natale, per questo oggi mi sembra significativo lasciar parlare loro. Hanno qualcosa da dirci, un messaggio da consegnarci, una missione da affidarci». È la forza del coraggio di non lasciarsi prendere dall’incertezza, dalle sicurezze senza fede, da un egoismo ingombrante. La loro risposta, sostiene don Arrigo, alle nostre domande più angoscianti è semplice e straordinaria perché consolante e commovente: « “Oggi è nato per voi un Salvatore”. Dicono: “Pace in terra agli uomini perché Dio li ama”; rispondono alle nostre perplessità e ci consegnano un Dio di nome Gesù, un “Dio-con-noi” ».
Gli angeli del Natale dicono «Non temere» a Maria, la madre di Dio; lo dicono a Giuseppe, il quale si prenderà cura del Figlio di Dio; lo dicono ai pastori che per primi adorano il bambino e gli rendono testimonianza. Aggiungono un «Alzati!» a Giuseppe, quando deve fuggire per proteggere il bambino; lo ripetono ancora a lui quando è ora di tornare a casa. In questa parola c’è il prendersi e prenderti cura; gli angeli ci suggeriscono un modo di impegnare la vita. Insomma, «a fare Natale alla maniera di chi ha vissuto le vicende della nascita e dell’infanzia di Gesù, che significa prendersi cura; meglio sentirsi responsabili come e dove ci viene chiesto nella nostra quotidianità» afferma don Arrigo.
Per questo Natale, conclude il giovane sacerdote, dobbiamo quindi ascoltare gli angeli, «per permetterci ancora quel poco di speranza di cui abbiamo bisogno e per diventare a nostra volta messaggeri e testimoni del Dio fatto uomo per noi e la nostra salvezza. Chiediamo al Natale di tornare a usare parole di misericordia; quelle vere e autentiche piene di incoraggiamento insegnateci da Gesù».
C’è stato spazio anche per celebrare Santo Stefano, il titolare del Duomo di Casalmaggiore. Nella Santa Messa del giorno successivo hanno partecipato il sindaco Filippo Bongiovanni insieme ad una rappresentanza delle forze dell’ordine, con la tradizionale consegna del cero pasquale alle parrocchie cittadine. Nella propria omelia don Claudio ha ringrazio le autorità presenti e la comunità cattolica ghanese per aver partecipano alla liturgia. E proprio da questo legame tra la parrocchia e il Comune – espressa anche dalla croce asburgica indossata dall’abate parroco, donata dall’imperatore Francesco II alla fine del Settecento -, il sacerdote ha preso spunto per riflettere ancora una volta sulla parola “martire”.
«Quest’anno l’ho ripetuto più volte, ma come ha anche ricordato il sindaco nel suo discorso in teatro, quest’estate abbiamo avuto un campione olimpionico nella staffetta come esempio. Ebbene, il linguaggio del martire è collegato a quello sportivo: dalla palma che esprime la vittoria, così il testimone – il martyrios – è ciò che si passa da una persona all’altra». Tra immagini sportive e della quotidianità, ecco l’Olimpiade di quest’estate: «Se devo pensare alle gesta estive del nostro concittadino Fausto Desalu, appunto ha raccolto l’oggetto e l’ha passato ad un altro, così è il martirio per noi cristiani: raccogliere una testimonianza e donarla all’altro».
Se allora la festa dei santi – salvo rare eccezioni -, è l’anniversario della loro nascita al cielo, «questa celebrazione di Santo Stefano ci dice che il Natale è legato alla morte; è guardare Cristo e assomigliargli, perché il cristiano rinasca in lui» ha detto don Claudio. Una “provocazione” forte, alla quale viene accompagnata ancora la metafora della maratona della vita: «È un passaggio oggi ritenuto “poco corretto”. Viviamo tempi dove si ha la pretesa e l’arroganza di ricreare l’uomo da zero, non c’è più niente di quanto ricevuto ieri da tramandare; perché ciò che ieri era vero, oggi è falso; ciò che è vero è ciò che dico io che domino. Invece essere cristiani – conclude don Claudio – significa prendere atto di aver ricevuto la testimonianza: io sono ciò che sono perché ho ricevuto un messaggio, e finché avrò la possibilità di esistere lo comunicherò agli altri, perché la vita ha una storia».
Prima delle benedizione finale, è stata poi letta la preghiera a Santo Stefano composta da don Alberto Franzini in occasione della Visita Pastorale del vescovo Dante Lanfranconi e dei rinnovati saluti e auguri di buone feste tra i fedeli.
di Redazione
Foto di Simone Ingusci e Federica Bini