Pubblichiamo l’omelia integrale del Parroco della Cattedrale, don Antonio Bandirali, durante la Santa Messa del Lunedì di Pasqua concelebrata da Don Claudio Rubagotti in cattedrale a Cremona nella quale si è ricordato don Alberto Franzini nel primo anniversario della morte.
Alleluia: il nostro bisogno di vita
Lo splendore pasquale brilla nella luce, nei colori e nella fede di questa nostra assemblea. Rinnoviamo, nella liturgia di questa giornata, il canto dell’Alleluia che la tradizione della Chiesa riprende come grido di gioia che annuncia la risurrezione di Cristo. Un canto gioioso ispira la predicazione di Pietro a Gerusalemme e il grido delle donne che corrono a dare ai suoi discepoli l’annuncio di aver incontrato il Maestro risorto. L’alleluia di chi si sente il cuore colmo di gioia perché ha capito che in Cristo la morte è vinta per sempre. Nel nostro attuale bisogno di vita potremo ritrovare l’eco forte di quel grido. Ora, alle nostre voci è affidato il compito, che è carità, di un annuncio capace di ridare speranza, di rinfrancare i cuori e di smuovere dal rischio di rimanere fermi a piangere. Un Grido affidato a tutti noi perché diventi vangelo, sintesi di gioia e di speranza che va portato a questo nostro mondo. Ma un grido che potremmo pensare esca anche dal cuore di Dio perché vede l’umanità recuperata nell’originalità di quel progetto di comunione che il suo Figlio Gesù ha salvato. L’agnello ha redento il suo gregge, l’innocente ha riconciliato noi peccatori con il Padre… Don Primo Mazzolari disse: «L’alleluja è nato spontaneamente dall’infinita bontà del Signore, che, invece di guardare alla nostra mancata attesa, pose il suo sguardo pietoso sul nostro bisogno di vita, come sulla croce – per amare fino alla fine – aveva guardato “coloro pei quali moriva, non quelli che lo facevano morire” ». Vale la pena alzare la nostra voce, oggi e sempre, per cantare questo Alleluja in sintonia con la gioia di Dio, affinché in tutta la vita possa essere esaltata la sua grandezza, l’unica capace di colmare il desiderio di infinito che alberga nel cuore di ogni uomo.
Un versetto “misterioso”
Oggi siamo qui per ricordare il nostro don Alberto ad un anno dalla sua morte, avvenuta repentinamente, dopo le prime avvisaglie di una malattia, acuìta da quel virus che ha causato la morte di tante persone care e che ancora ci fa paura. In quei giorni – e ancora oggi – si sono alzate tante voci a dare testimonianza della umanità e della fede di don Alberto. Anche ora, qui tra voi, ci sono coloro che potrebbero prendere la parola e, con più precisione di quanto io possa fare, parlarci di lui a partire dal bene ricevuto in mille situazioni e in mille modi. Io lo posso fare solo a partire da alcuni ricordi che custodisco e che mi hanno permesso di avere di lui stima per il suo essere uomo credente e prete generoso. Ho avuto la fortuna di essere uno tra i suoi tanti alunni di seminario. La sua parola sempre chiara ed equilibrata, comprensibile immediatamente, mi ha permesso di riconoscere che la testimonianza della Verità ricercata non può mai essere slegata da tratti di squisitezza umana, premessa indispensabile per lasciar trasparire in essa il vero volto di Dio che la genera. Ricordo che in quegli anni citava frequentemente un versetto del salmo 42, il cui significato mi appariva sempre misterioso: abyssus abyssum ìnvocat. Ed è rimasto così per tanto tempo, fin quando ho avuto la possibilità di avvicinare don Alberto nel suo impegno pastorale. Soprattutto negli ultimi tempi quando insieme abbiamo provocato i primi passi del lavoro verso l’Unità Pastorale di queste nostre parrocchie.
Abyssus Aabyssum Ìnvocat
Il suo impegno e la sua disponibilità hanno manifestato attenzione e cura a quello spessore umano e culturale necessario perché il Vangelo di Gesù e l’insegnamento della Chiesa non fossero mai ostacolo al dialogo con ogni persona avvicinata. Fosse una conferenza, l’organizzazione di un viaggio, un’omelia o una buona cena tra amici. In questa sua cattedrale, come in ogni ambito pastorale o parrocchia nelle quali ha esercitato il suo ministero, la sua parola saggia e semplice hanno permesso che l’annuncio evangelico potesse innervare le debolezze umane e culturali di energie che solo lo Spirito può generare. Nell’articolo di saluto ai parrocchiani per l’ingresso come Parroco della Cattedrale scrisse: «dobbiamo riprendere consapevolezza, casomai si fosse appannata, della fortuna che abbiano ricevuto di essere discepoli del Signore e di appartenere alla grande famiglia della Chiesa. Questa fortuna ci dona anzitutto il calore della paternità di Dio, che ci strappa da ogni angosciante solitudine e ci conferisce grande libertà… ubi fides, ibi libertas!». Ripensando a quella frase per me enigmatica ho riscoperto tutto il salmo 42, riconoscendolo come la traccia capace di ripercorre le tappe della vita e del cammino di fede di don Alberto.
«Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio». Una vita fatta di studio della fede e di attenzione a tutti quei fenomeni umani, non consumati per sé ma nel desiderio di incontrare Dio come sorgente capace di saziare l’anima come il desiderio di acqua per un assetato.
«Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio». Le preoccupazioni non hanno travolto la sua serenità e la speranza di un incontro intimo con Dio, cercato anche nell’ascolto di buona musica, nella contemplazione dell’arte e nel gusto per la letteratura.
«Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate». Con una comprensione forse un poco diversa da quella tradizionale che mette in guardia dal male che ne attira sempre un altro. Qui ho compreso come la sua profonda ricerca e studio della vastità del cuore dell’uomo – in tutte le sue componenti, fatte di aspirazioni e di dolori, di convinzioni e di dubbi, spesso apparentemente invincibili – riconoscendola come il luogo nel quale facilitare l’esperienza della vastità della Misericordia di Dio, invitando a cercare più su, come direbbe Sant’Agostino [1]. Non tanto come la messa in guardia da un male che ne attira un altro… «L’insaziabilità del desiderio, come tutta la storia della spiritualità insegna, non si guarisce accumulando piccole risposte a piccoli bisogni, ma ricordando a noi stessi che c’è sempre un “oltre” che non ci permette di bloccarci davvero su niente, dando a tutto il valore “relativo” che le cose possono avere. “Relativo” a che cosa? A Dio, che resta il “tutto”, che fa da traguardo». [2]
«Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio». E così appare l’ultimo suo desiderio espresso anche nel testamento, redatto qualche anno prima della sua morte: quello di «andare incontro al buio della morte con lo sguardo verso colui che è stato trafitto sulla croce e ha vinto la morte».
Riconoscenti a Dio per il dono che don Alberto è stato per tutti noi e per questa nostra Chiesa di Cremona, gridiamo forte il nostro Alleluia, Cristo è risorto! Veramente!
di don Antonio Bandirali
[1] Sant’Agostino, Confessioni, 10,6.
[2] D. Pezzini, Meditazione sul Salmo 42.