In occasione dell’anniversario della nascita al cielo di don Luigi Barbisotti, parroco di San Leonardo dal 1945 al 1975, pubblichiamo un intenso caleidoscopio di ricordi da parte di Paolo Zani della sua figura di sacerdote a Casalmaggiore. Dal racconto di diversi episodi e molte testimonianze, emerge il ritratto di una figura dedita totalmente alla missione sacerdotale nelle sue sfumature: la cura alle vocazioni giovanili, l’umorismo, la semplicità e la Siùra Emilia.
Le scarne note biografiche di Don Luigi Barbisotti si possono ritrovare dall’Annuario della Diocesi di Cremona. Nacque a Castelverde nel 1901 e fu ordinato sacerdote nel 1924. Divenne in seguito vicario a Bozzolo nella Chiesa della Santissima Trinità nel 1924, a Persico nel 1928, a Romanengo nel 1932 e a Soncino nella parrocchia di San Giacomo nel 1935. Fu nominato poi parroco a Casalmaggiore nella chiesa di San Leonardo dal 1945 al 1975. Morì nella nostra città il 22 ottobre 1975, dove tutt’ora è sepolto a Casalmaggiore.
Ma don Luigi è stato molto molto di più.
Dal giornalino editato nel 1974 in occasione del suo 50° di sacerdozio. La parola al Parroco.
«…Voi sapete come sono sempre stato schivo di festeggiamenti che riguardassero al mia persona: ma ora ho proprio dovuto cedere alle insistenze di diversi parrocchiani e mi ha persuaso l’idea che questa celebrazione possa essere mezzo di bene per tutti; per ravvivare la Fede, per suscitare la stima della missione sacerdotale che spesso non è compresa ed apprezzata. Il Sacerdozio non è un mestiere, non una professione, ma una missione… . Il Sacerdote non deve avere interessi umani, non ambizioni di dominio o di piaceri mondani, ma deve essere il servo di tutti, sempre a disposizione dei bisogni del suo popolo: dev’essere l’immagine di Cristo che ha detto: “Non sono venuto per essere servito ma per servire”. Così dovete vedere il Sacerdote: il vostro amico che vi ama e vuole la vostra salvezza. Non sempre forse sono stato all’altezza del mio ministero ma mi affido alla misericordia di Dio e alla vostra bontà e generosità di perdono: soprattutto mi affido alla vostra preghiera, perché Dio mi conservi la Sua grazia, la Sua luce, per concludere nella santità, il breve tempo che vorrà concedermi di rimanere con voi!».
Intuizione profetica: Don Luigi ci lascerà dopo solo una quindicina di mesi. Sembrano frasi fatte, di circostanza ma il bello è che Don Luigi era veramente così. Ma veniamo a qualcosa di più concreto della sua vita sacerdotale: le vocazioni. Don Luigi ha avuto il piacere di vedere tre suoi parrocchiani raggiungere il traguardo del sacerdozio.
Don Mario Martinengo
Scrive don Mario, sempre nel 1974: «Quale la caratteristica di questi 50 anni? Io credo che possa essere indicata nella sua serenità e semplicità; almeno queste sono le doti che maggiormente mi hanno colpito e che hanno contribuito a spingere me a riceverle nel sacerdozio. Don Luigi è il prete semplice, il prete delle piccole cose, il prete sa dare a tutto e a tutti il giusto valore e il giusto rispetto. La sua semplicità e capacità di amare è un diretto ricordo di quello di Cristo stesso: “ Lasciate che i piccolo vengano a me” mi veniva spontaneo pensare vedendolo in mezzo ai bambini e alle bambine di San Leonardo che di lui hanno tanto rispetto ma proprio nessuna soggezione».
Padre Emanuele Turpeti
…” Nelle mani di Dio il Sacerdote diventa vittima, olocausto, dono. Il dono che il Padre fa ai suoi figli. E in questo modo diviene Pastore, missionario, si identifica con Cristo e realizza la pienezza della sua vita in un martirio incruento e, talvolta, cruento. Don Luigi ha abbracciato incondizionatamente questo vangelo. Lo abbiamo veduto nei suoi cinquant’anni di sacerdozio: ha saputo resistere alle intemperie interiori ed esteriori, ha sofferto, ha molto sofferto il suo sacerdozio perché lo ha amato e continua ad amarlo ancora. Ha avuto anche delle piccole gioie, come in questi giorni. Il suo piccolo popolo di Dio, il suo resto che gli è sempre rimasto fedele che oggi vuole testimoniare ancora una volta la sua fedeltà.
Il suo amore alla vita di Pastore, ma soprattutto il suo esempio ha generato due altri sacerdoti nonostante tanta semente fosse destinata a cadere sulle spine e sull’asfalto”. Al termine della celebrazione del 50° di ordinazione sacerdotale don Luigi, molto commosso, ha salutato in modo, per noi, strano Padre Emanuele che sarebbe partito dopo poco per la sua missione in Brasile. Più che un addio lo abbiamo colto come un arrivederci a presto. Un arrivederci in Cielo: Padre Emanuele ci lascerà…. tragicamente nella missione in Brasile il 2 aprile 1976 solo dopo sei mesi la morte di Don Luigi.
Padre Claudio Bobbio
Anche padre Claudio ha trascorso la sua infanzia all’Oratorio di San Leonardo sotto la guida di Don Luigi e dell’indimenticata signora Lina Padova che, per la cronaca, era sua zia.
Cappellano dell’Ospedale
Fin dall’ingresso nella Parrocchia di San Leonardo nel 1945, don Luigi ha svolto il ruolo di cappellano dell’ospedale degli infermi che sorgeva in via Cairoli in pieno territorio parrocchiale. Era un incarico, una sinecura si direbbe, senza alcun riconoscimento economico. Don Luigi lo ha sempre svolto con la massima dedizione ed una sensibilità particolare. Uno dei suoi compiti principali era quello della somministrazione dell’unzione degli infermi. In verità un tempo, non tanto lontano, si chiamava l’estrema unzione o, in dialetto “l’oli Sant” (olio santo); nella vulgata popolare quando veniva somministrato questo sacramento non c’era più alcuna speranza, anche perché effettivamente lo si dava solo in punto di morte.
«I g’ha bèla dat l’oli Sant e gh’è pö nient da fa!» («Gli hanno già dato l’Olio Santo e non c’è più niente da fare»).
Orbene, Don Luigi, nella sua ingenuità e semplicità, nel suo quotidiano giro preserale, chiedeva ad una delle suore di Maria Bambina che erano addette alla cura in Ospedale, in particolare mi ricordo Suor Aquilina che aveva l’incarico di assistere i moribondi…«Suora, l’am dèga sa gh’è ‘an quaidon ca pirla via, cag dum l’Oli Sant sùbit» («Suora, mi dica se c’è qualcuno che sta morendo così gli diamo l’olio Santo subito»). Questo per evitarsi levatacce notturne. Mai una volta fu esaudito in questa sua richiesta; in compenso non si contano le notti in cui Don Luigi si alzava, estate e inverno, per recarsi all’ospedale per un Olio Santo d’urgenza. Addirittura una notte ebbe un incidente abbastanza serio con la sua bicicletta…sì perché Don Luigi si muoveva esclusivamente su una Bianchi da uomo, tranne una breve parentesi che lo vide motorizzato con una Moto Sachs 48cc a marce.
L’incontro con Adriano Celentano
E a proposito di ospedale, «Forse non tutti sanno che…» Adriano Celentano è stato ospite del nostro nosocomio.
Siamo nel 1959 e l’Adriano (allora non ancora) nazionale era stato invitato ad una serata in quel di Rivarolo del Re in occasione della fiera settembrina. Era un evento molto importante con balera e veglione, dove si esibivano cantanti più o meno famosi ma tutti sulla cresta dell’onda.
Basti pensare che Mina debuttò, appunto, a Rivarolo del Re. Ma torniamo al nostro Adriano Celentano.
Di ritorno dalla serata, il 22 settembre, sulla strada tra Rivarolo del Re e Villanova (non c’era ancora l’attuale “direttissima”) all’altezza di via dei Ronchi (la strada che porta a Camminata) nell’affrontare una curva e controcurva strettissima su un ponticello (da allora “curva Celentano”) usciva di strada e per le ferite riportate veniva ricoverato all’ospedale di Casalmaggiore. La notizia si sparse in un baleno mandando in fibrillazione le ragazzine di tutto il circondario…Celentano a Casalmaggiore?!
Così don Luigi, nel consueto giro mattutino all’ospedale, incontra l’Adriano e lo apostrofa con queste parole: «Beh, e te at sarösat Celentano? Li me ragasì a l’uratori li dventa màti par te. Me a capési mia. At s’è bröt cmè l’Infèran!» («Beh e tu saresti Celentano? Le mie ragazze all’oratorio diventano matte per te. Non capisco. Sei brutto come l’Inferno!») Ecco anche questo era Don Luigi. Nota a margine: a seguito dell’incidente, forse non solo per quello, la curva e controcurva fu rettificata; ma ancora oggi è visibile il ponticello fonte di guai per l’Adriano nazionale.
Funzioni liturgiche
Affermare che don Luigi fosse un attento liturgista sarebbe esagerato. Diciamo che era un po’ distratto.
Ricordo la liturgia della notte di Pasqua: abbastanza complessa per le varie benedizioni dell’acqua, del fuoco con l’utilizzo di varie boccette di oli sacri. Don Luigi indossava un ampio grembiule bianco per evitare di sporcarsi con gli oli e talvolta, preso dall’impegnativa liturgia, scambiava le boccette di olio ed allora…«Udiu am sum sbaglià!» («Oddio mi sono sbagliato!»).
Un altro episodio indelebile nella mia memoria è quello accaduto al termine della Messa in Coena domini (il giovedì Santo) al momento del collocamento delle Ostie consacrate nell’altare della reposizione. Il tabernacolo, che veniva usato solo una volta all’anno, aveva la serratura un po’ difettosa. Don Luigi, con in una mano la pisside e nell’altra la chiave che faticava ad aprire, se ne uscì con un «L’ha sempàr fàt rabì» («Ha sempre fatto arrabbiare»). Riferito alla serratura poteva starci, ma poteva anche, con malizia, riferirsi anche alle ostie consacrate.
All’interno della santa Messa, prima della riforma liturgica del Vaticano II ma anche dopo, in verità, molti canti liturgici erano in latino.
Ricordo che più volte nel momento della benedizione eucaristica al canto di O salutaris hostia, il popolo non molto acculturato cantava a squarciagola «Uni trinaque Domino…», e prontamente Don Luigi sospendeva la celebrazione per spiegare, non so con quale fortuna, che non si doveva cantare «Uni trinaque Domino», bensì «Uni trinoque Domino», perché “Domino” era sostantivo maschile.
La vita in oratorio
Non si può dire che la parrocchia di San Leonardo avesse ai tempi di don Luigi un vero e proprio oratorio.
Appena insediato in parrocchia, nel 1945, don Luigi sacrificò un magnifico frutteto per farne il campo da calcio, quello ancora esistente anche se orientato diversamente. Mi piace qui ricordare che la Parrocchia di San Leonardo nel 1945 non aveva ancora il quartiere di via Corsica, via Trieste e via Bixio costruiti in epoca successiva. Era una realtà povera che basava la sua economia soprattutto sull’agricoltura e sugli scarsi proventi dell’attività sul fiume Po, come la pesca e il legname.
Ma l’oratorio c’era, eccome, e che oratorio… aveva letteralmente il calore della famiglia; sì, perché l’oratorio era nella casa parrocchiale. Ma nel senso letterale del termine: il biliardino era in cucina e spesso capitava che la pallina andasse a finire sul tavolo dove Don Luigi e la signora Emilia, la sua domestica, stavano pranzando. Oppure i ragazzi e le ragazze che giocavano a nascondino, si celavano sotto il tavolo dove, magari, i due stavano cenando.
D’estate le cose cambiavano perché ci trasferivamo nel cortile interno, sempre però nella casa parrocchiale. Un po’ meglio andava alle ragazze che avevano un proprio spazio nell’oratorio femminile, ora non più esistente, sull’angolo di via Corsica dove c’era anche un piccolo teatro testimone delle nostre performances attoriali.
La saletta riunioni fu adibita per un breve periodo a sala televisione. Con enormi sacrifici, Don Luigi acquistò uno dei primissimi apparecchi TV per renderlo disponibile ai suoi parrocchiani. Ma sottovalutò la potenza della burocrazia: dopo breve tempo fu costretto a chiudere l’ambiente di proiezione in quanto la SIAE o la Finanza – non ricordo bene – considerò la sala adibita a pubblici spettacoli, con tutte le conseguenze del caso. Mi pare che ci fu anche una multa salata.
La povertà
Don Luigi, pur non avendo fatto voto di povertà, lo definirei un prete veramente povero che viveva con il minimo indispensabile. E quanto segue ne è la dimostrazione pratica.
In occasione di una venuta in parrocchia di Danio Bolognini, Vescovo di Cremona dal 1952 al 1972, probabilmente per le sante Cresime, il monsignore ebbe una necessità corporale e chiese dove fosse la toilette. Panico totale: la casa parrocchiale non era dotata di servizi igienici propri ma, come allora era uso comune, la “toilette” (più propriamente “cèsu” – il cesso – nella vulgata popolare) «l’era il sla màsa» («Era sulla concimaia»), ed era costituita da una baracca di legno con un asse forato sul pavimento.
Don Luigi non fece una piega. Il bagno in casa non era una priorità, lo considerava forse un lusso. Pure monsignor Bolognini non si scandalizzò, vista l’impellenza, e utilizzò quello che offriva la casa! Ma alla fine della giornata, il Vescovo in persona diede a Don Luigi un assegno con l’impegno che si sarebbe provveduto a dotare la casa parrocchiale di un locale idoneo ai servizi. E fu così che al primo piano della casa parrocchiale si realizzò un vero e proprio bagno. Nota a margine: alla luce di quanto sopra e, forse per rispetto allo spirito di povertà di Don Luigi, quando fu ristrutturata la casa con la venuta di don Piero Salini, l’unico locale che non fu toccato fu proprio il famoso “bagno di monsignor Bolognini”.
La Siùra Emilia
Non posso chiudere questo ricordo di Don Luigi senza citare la Siùra Emilia…la sua domestica. Al secolo Guarneri Emilia, nata a Pugnolo, in provincia di Cremona. La siùra Emilia è stata un po’ la mamma di tutti noi: era lei che ci controllava all’oratorio, era lei che gestiva lo spaccio di dolciumi che era costituito da una vetrinetta e dal sottostante mobile.
Vi si vendevano «schifezze varie» come liquirizia di bastone, ma soprattutto quelli che noi chiamavamo i “disoccupati”: nient’altro che formine di pseudo liquirizia che venivano vendute a pezzi singoli e, ovviamente, sfusi. D’estate lei poi produceva, rigorosamente in casa, i ghiaccioli: altro non erano che cubetti di ghiaccio insaporito con estratti di frutta e congelati nella celletta del frigorifero con uno stuzzicadenti per manico.
La siùra Emilia e Don Luigi binomio inscindibile per noi del Borgo. Lei purtroppo si ammalò gravemente; portò su di sé le conseguenze di un ictus; praticamente si trovò dall’oggi al domani su una carrozzina. Nessun problema: don Luigi la tenne non sé e non volle assolutamente che venisse ricoverata al Busi, come si diceva una volta, e l’accudì fino a quando poté. La siùra Emila sopravvisse a don Luigi di qualche anno, questa volta alla casa di riposo.
di Paolo Zani