Tredici anni, dieci sacerdoti, una parrocchia. Don Angelo Bravi si racconta per il nuovo sito parrocchiale, tracciando un bilancio della sua esperienza di vita a Casalmaggiore e dell’unificazione delle comunità di Santo Stefano e San Leonardo. Una realtà sempre vissuta come una presenza silenziosa ma indispensabile, con lo spirito del servizio e dell’ascolto parole guida della sua predicazione. Tra giovani, il legame con gli altri sacerdoti e qualche presa di coscienza, due parole con il collaboratore parrocchiale.
Partiamo dall’inizio. Dopo venticinque anni di esperienza come parroco in diverse realtà del territorio, quali Quattrocase, Villastrada e San Martino dall’Argine, è arrivato a Casalmaggiore nel 2007. Si ricorda con quali aspettative, domande e sentimenti è stato accompagnato?
Con la scritta in chiesa ‘Servo di ogni uomo, servo per amore’ – tratta da una canzone -, mi hanno salutato gli ultimi parrocchiani; ed è con questo spirito che sono venuto a Casalmaggiore. Semplicemente per mettermi a servizio della nuova comunità che mi è stata indicata cercando di amare ciascuno.
Nel ricordare solennemente il suo cinquantesimo anniversario di ordinazione presbiterale, ha fatto cenno a quella stagione della sua vita in cui con profonda determinazione rispondeva di avere in cuore il desiderio di diventare prete a quanti gli chiedessero che cosa pensasse di fare da adulto. A otto anni di distanza da quella celebrazione, che cosa si sente di dire ai giovani di queste terre in merito alla vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata?
Il problema è che ognuno deve rispondere alla domanda: Signore, che cosa vuoi che io faccia? E nel cercare di discernere e fare la volontà di Dio che poi ciascuno segue la propria strada.
Sempre a proposito di giovani: oggi diventa difficile per loro discernere la propria vita e compiere scelte più consapevoli per il futuro. Quali consigli sente loro di dare per comprendere i talenti ricevuti e poterli valorizzare?
Oltre a frequentare incontri in cui ci si confronta, alla luce della parola di Dio, su temi inerenti il significato della vita, è importante avere una guida. Una volta ci si affidava ad un prete: era il direttore spirituale. Oggi potrebbero essere di aiuto anche altre figure di educatori, come coppie di sposi.
Dopo poco più di dieci anni che vive qui a Casalmaggiore, come potrebbe definire il suo rapporto con la città?
Il ruolo che mi ha affidato il vescovo è quello di “collaboratore parrocchiale” e quindi già di per sé secondario nei confronti del parroco che deve prendere le ultime decisioni e istituzionalmente rappresentare la parrocchia. Per questo sono un ‘consigliere’ quando richiesto. Il mio rapporto personale con i cittadini è buono sotto ogni profilo, tenuto conto del non eccessivo ‘calore umano’ dei maggiorini; e io lo sono per nascita. Ci sono tante realtà vive che però s’ignorano reciprocamente. Una iniziativa, per esempio, fatta da un gruppo per tutti non è partecipata dagli altri gruppi. Sotto questo aspetto non ho notato miglioramenti.
Nel 2007 ad attenderla in città c’erano due parroci, monsignor Alberto Franzini e don Mario Martinengo. Ora c’è un solo pastore, don Claudio Rubagotti, che ha il delicato compito di guidare le due antiche parrocchie maggiorine insieme. Come ha vissuto l’esperienza dell’unione parrocchiale e quali consigli si sente di dare ai fedeli di questa nuova, grande, comunità?
Vorrei innanzitutto ricordare che in questi tredici anni ho vissuto il cambiamento di ben dieci sacerdoti, ovviamente con un’età, stile, carattere diversi con i quali ho intessuto un rapporto di amicizia e da ciascuno dei quali ho imparato qualcosa. Questo può avere sconcertato quelli che hanno vissuto l’esperienza di un parroco praticamente “a vita”, ma forse li ha aiutati a pensare anziché al “mio “parroco” come “ai miei preti”. Bisogna tener conto che dopo secoli in cui sono convissute due parrocchie distinte non si possono cancellare mentalità e tradizioni in poco tempo. C’è poi il timore che la parrocchia più grande – il Duomo – abbia a fagocitare quella più piccola – il Borgo –. La presenza comunque di ben quattro preti virgola che non hanno fatto mancare i servizi essenziali, ha un po’ stemperato tutto questo punto. Siamo ancora agli inizi. Per quanto mi riguarda, sono tutti parrocchiani alla stessa maniera. Il consiglio che potrei dare è di vedere questa unione un arricchimento, non una contrapposizione; ci sono forze, energie, persone che messe insieme valgono di più che separate. E poi puntare sull’ “amore scambievole”: non è da questo che si riconoscono i cristiani?
Nell’augurarle affettuosamente una lunga e felice serie di anni, ci vogliamo permettere l’indiscrezione di chiedere quali disegni – o sogni, visto che non conoscono limiti – ha per il suo avvenire in mezzo a noi?
Da tanti anni ho fatto mio il testamento di Gesù: tutti siano una cosa sola. È il “sogno” di Dio. Tutti gli uomini formino una sola grande famiglia dei figli di Dio. Io semplicemente cerco di realizzarlo, con tutti i miei enormi limiti ed errori, con ogni persona che il Signore mi mette accanto.
di Sebastiano Fortugno e Jacopo Orlo