Nel tardo pomeriggio di Mercoledì 8 Maggio, al termine della sfiorata tragedia che ha coinvolto il Duomo di Santo Stefano, il giornalista de “La Provincia” Davide Bazzani, contattandomi telefonicamente, mi chiedeva alcune considerazioni “a caldo” sull’accaduto. Avevo risposto che preferivo farlo una volta acquisito tutte le informazioni necessarie, al fine di poter dire qualcosa di ragionato. Ecco, allora, le mie considerazioni.
Inizio con un po’ di cronaca, partendo proprio dall’ 8 Maggio. Nel Duomo, in parte occupato dal cantiere che interessa la lanterna della cupola, sono impegnati il personale dell’Impresa PCP Costruzioni e la restauratrice Danielle Simon dello Studio Blu. E’ stata Danielle, operativa sul ponteggio, ad avvertire l’odore acre del fumo. Sono circa le 11,15. Non trovandomi al telefono allerta prontamente la collega Fiorenza Ferrari che si sta dirigendo in Duomo. Questa contatta l’Impresa PCP che, nelle persone di Antonio Caratti e Andrea Aroldi, intervengono prontamente. Il fuoco si sta propagando nel deambulatorio che corre dietro l’altare del Rosario (sulla navata sinistra entrando dal Duomo) dove sono presenti le prese che alimentano l’ascensore del cantiere. Il signor Antonio, con estremo coraggio, affronta il fumo che impedisce la visuale e spegne il fuoco versando la sabbia dei sacchi collocati nella prossimità della porta che conduce nel corridoio. Si sono verificate una serie di coincidenze fortunate, oppure di “dioincidenze”: la presenza di persone impegnate nel cantiere; la prontezza di intervento; la sabbia, necessaria al cantiere, collocata nelle vicinanze.
Ora alcune considerazioni. Quanto è accaduto non è un fatto isolato in quanto da diverse settimane, sempre in tarda mattinata, qualcuno rompeva candele e sottraeva i cerini collocati per la devozione dei fedeli. Purtroppo, questo è il mio pensiero, è il rischio che si “paga” quando si sceglie per una chiesa aperta ai fedeli. Mercoledì 8 Maggio si è fatto ben oltre! Quando le restauratrici Danielle e Fiorenza sono entrate in Duomo hanno trovato cocci di ceramica sul pavimento della navata destra, davanti all’altare dell’Ultima Cena: si trattava dell’acquasantiera, asportata dal suo basamento collocato all’ingresso della chiesa. Da questo gesto di vandalismo e di profanazione si è passati ad una azione devastatrice che, oltre a distruggere il Duomo, poteva compromettere la vita di quanti operavano sul cantiere. Al di là della domanda sul grado di coscienza e sull’età delle persone che hanno compiuto queste azioni, rimane la fotografia: entrare in un luogo pubblico, importante per il culto cristiano e per la rilevanza storica e artistica, per devastare proprio quando – come ha sottolineato il parrocchiani Cristian Maroli – è in atto tutta una serie di interventi, frutto di impegno e sacrifici dei fedeli, per prendersi cura di quel luogo. Come pure è oggettivo il disinteresse verso gli altri: i lavoratori impegnati sul ponteggio del Duomo.
L’accaduto è un’offesa non solo verso le persone, il sentire cristiano e il valore storico artistico che il Duomo rappresenta; è uccidere la libertà. Si, la libertà di entrare in chiesa, di sostare a pregare e a pensare; la libertà di goderti un quadro e un’architettura; la libertà di intravedere sin da lontano Casalmaggiore attraverso la cupola del suo Duomo.
Alla luce di queste considerazioni, giovedì mattina 9 Maggio, ho presentato alla Stazione dei Carabinieri di Casalmaggiore la formale denuncia dell’accaduto.
Don Claudio Rubagotti – Abate Parroco di Casalmaggiore